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L’Eternit di Casale Monferrato. Come l’antropologia può fare luce sui disastri invisibili legati all’amianto

Un breve saggio di Giovanna Luciano, giovane monferrina laureata in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l'Università di Torino

CASALE MONFERRATO

Tra marzo e dicembre del 2022, ho svolto una ricerca etnografica a Casale Monferrato, conclusa con la stesura della mia tesi di laurea in Antropologia culturale ed etnologia. Oggi vorrei proporre un breve articolo per condividere con voi alcuni elementi che ho individuato nel corso della ricerca.

Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un video di un famoso progetto editoriale che si occupa di divulgazione scientifica online. In questo breve video un esperto affronta il tema della fabbrica dell'amianto “Eternit” di Casale Monferrato e dei conseguenti danni alla salute pubblica. Il divulgatore termina la spiegazione ponendo la domanda: “Ma la scienza non sapeva che l'amianto faceva male?”. Dopodiché prosegue riportando alcuni studi e affermando che solo grazie alla ricerca scientifica oggi sappiamo che l'amianto fa male e per questo motivo è meglio non utilizzarlo.

Tuttavia, a Casale Monferrato la consapevolezza che l'amianto provocasse gravi malattie polmonari è arrivata prima della conferma scientifica, proprio per le morti premature di moltissimi operai e cittadini. Le evidenze sono state prodotte, negli anni Ottanta, con gli studi epidemiologici condotti dal dottor Terracini e i suoi collaboratori sulle morti per mesotelioma e asbestosi nella fabbrica e nell'intera città. Nonostante ciò, prima che l’utilizzo dell'amianto cessasse a Casale passò diverso tempo, furono necessarie varie proteste da parte della comunità e una raccolta firme di cento medici per portare il sindaco di allora a emanare la famosa ordinanza comunale che impedì il proseguimento della produzione di materiali contenenti amianto nel 1987. Per ottenere il divieto in tutta Italia si dovette aspettare fino al 1992 e in Europa addirittura fino al 2005.

L'intento di questa introduzione non è quello di sminuire l'importanza della ricerca scientifica nella presa di consapevolezza della dannosità di questo materiale, ma piuttosto ampliare il ragionamento anche ad altri fattori che entrano in gioco quando si parla di un disastro ambientale come quello causato dall’amianto.

La vicenda dell’Eternit, e più in generale dell'utilizzo dell'amianto nella produzione industriale, può aiutarci a riflettere sulla complessità di tali fenomeni, che si sviluppano in seguito a una concatenazione di eventi definibili non solo dal punto di vista scientifico.

Secondo l’antropologia dei disastri, un evento catastrofico non si manifesta in modalità identiche in luoghi diversi, ma può avere risultati differenti a seconda della vulnerabilità della comunità su cui si abbatte. Questa vulnerabilità dipende anche da elementi sociali, culturali, economici e politici che concorrono alla produzione del disastro. Le “interconnessioni fra credenze, strutture politiche, istituzioni sociali e relazioni di potere” (Ligi, 2014) possono influenzare l'esito di una catastrofe andando ad agire sulla possibilità da parte delle comunità esposte di reagire al danno subito.

Un caso studio calzante - anzi due, ma interconnessi - sono quelli di Casale Monferrato con l’Eternit e Broni con la Fibronit.

Nonostante Broni abbia una storia simile a quella di Casale e nonostante l’incidenza di morti per mesotelioma sia più alta in proporzione agli abitanti, il suo territorio non è riconosciuto come SIN (Sito di Interesse Nazionale),ma solo l’area circoscritta alla fabbrica d’amianto Fibronit. Invece a Casale Monferrato questo riconoscimento è avvenuto e comporta numerosi vantaggi.

Le storie delle due città e delle rispettive fabbriche sono molto simili, ma la reazione da parte delle comunità è stata molto diversa.

La fabbrica Fibronit proseguì le lavorazioni fino al 1993, ben un anno dopo il divieto in Italia. L'azienda provò in tutti i modi a proseguire la produzione dell'amianto, attuò strategie di mediazione con il territorio e le istituzioni, le quali portarono a una rimozione collettiva del disastro dalla memoria della comunità. Oggi le parole mesotelioma e asbestosi sono pesanti, difficili da pronunciare, in questo modo l'amianto rischia di rimanere un nemico invisibile, nascosto per tanti anni da politiche che hanno favorito il benessere economico, danneggiando la salute dei cittadini.

A Casale la risposta fu molto diversa, i sindacati, le associazioni ambientaliste e in seguito anche AFEVA (Associazione Familiari e Vittime dell'Amianto) ebbero un ruolo importante nel riconoscimento del danno da parte della comunità. Un'alleanza insolita quella dei sindacati e degli ambientalisti, che usualmente vanno  in direzioni diverse, gli uni al mantenimento dei posti di lavoro e gli altri alla salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica e spesso propensi alle chiusure delle fabbriche. In questo caso, per circostanze favorevoli, ovvero il fatto che molti operai fossero prossimi all’età pensionabile, che la sospensione delle attività lavorative fosse voluta dalla stessa fabbrica e grazie alla coesione tra i cittadini, si arrivò alla proibizione dell’uso di amianto e alla "presa in carico" della sofferenza da parte di tutta la comunità.

Come possiamo vedere da questi due esempi, la percezione del rischio e lo stesso riconoscimento del danno sono connessi a moltissimi elementi di natura economica, sociale, politica, istituzionale e culturale. Tutti questi elementi concorrono alla costruzione della vulnerabilità di una determinata popolazione, producendo dei nemici difficili da affrontare perché impercettibili.

L'antropologia può aiutarci a riconoscere i disastri ambientali come delle rappresentazioni e delle percezioni di un avvenimento e in quanto tali spiegabili servendosi di elementi come le credenze, i bisogni degli individui e dei gruppi, le dinamiche di potere e gli interessi economici.

Un altro spazio di analisi che può essere utile a comprendere meglio il contesto di Casale è quello dei procedimenti penali che riguardano i disastri ambientali. I processi di questo tipo possono rappresentare degli spazi performativi di condivisione della sofferenza e della propria storia, durante i quali “le pratiche e i procedimenti giuridici si configurano come strumenti e finalità che definiscono relazioni di causalità e significati, rispondendo alla domanda: che cos'e la giustizia?”(Ravenda, 2018).

Durante le udienze dell'ultimo processo giudiziario contro Stephan Schmidheiny, si sono susseguite ore di spiegazioni, presentazioni e definizioni mediche, scientifiche, statistiche, sia da parte dell’accusa, che da parte della difesa con l'obiettivo comune di avvalorare la propria versione dei fatti.  

Nonostante il nesso causale tra l'esposizione all’amianto e l’insorgenza di tumori sia un'evidenza comprovata ormai da decine di anni, le strategie di entrambe le parti coinvolte nel processo vedono comunque l'utilizzo di metodi scientifici per mettere in discussione le teorie proposte dall'avversario. 

La conoscenza scientifica, in alcuni casi, attraverso un processo di “astrazione", può produrre conoscenze distaccate dalla realtà, semplificate e quindi più facilmente manipolabili (Petryna, 2013).

Nel caso di Casale Monferrato, il fatto di estrapolare i dati dal contesto, può produrre teorie apparentemente valide, che tuttavia mettono in discussione il nesso causale tra inquinamento e morti e favorire in questo modo la difesa degli imprenditori delle fabbriche inquinanti.

Se invece adottiamo una visione scientifica più vicina alla realtà, alle storie delle malattie, alla presenza della fabbrica sul territorio, non solo a livello fisico, ma anche relazionale, possiamo scoprire che il danno ambientale è avvenuto e che ci sono dei responsabili.

La conoscenza scientifica non è un’entità a sé stante, astratta ed estraniata dalla realtà, dai processi e dalle dinamiche politiche, culturali ed economiche che influenzano ogni ambito della vita umana, anzi ne è essa stessa produttrice e prodotto. La scienza ci ha permesso di conoscere la pericolosità dell'amianto e di capire che è meglio non utilizzarlo, ma allo stesso tempo consente di proseguire la produzione laddove esistono le condizioni per farlo.

Queste sono alcune riflessioni emerse durante la ricerca, ulteriori approfondimenti sono presenti sul sito della rivista AceTonico, la rivista di antropologia di cui sono redattrice, che si occupa di diffusione e divulgazione dell'antropologia al di fuori dell’ambiente accademico.

Link alla rivista AceTonico: https://acetonico.org/portfolio/leternit-di-casale-monferrato/

BIBLIOGRAFIA

Ligi G., Antropologia dei disastri, Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari, 2014.

Petryna A., Life Exposed: Biological Citizens After Chernobyl, Princeton University Press, Princeton, 2013. 

Ravenda A.F., Carbone. Inquinamento industriale, salute e politica a Brindisi, Meltemi, Milano, 2018. 

Zignoli B., “Sembrava nevicasse”. La Eternit di Casale Monferrato e la Fibronit di Broni: due comunità di fronte all’amianto, FrancoAngeli, Milano, 2016. 

L'AUTRICE

Giovanna Luciano ha conseguito la laurea magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l'Università degli Studi di Torino con 110 e lode discutendo la tesi "Davidia - Forme di resistenza e trasformazione nel tessuto socio-culturale di Casale Monferrato in seguito all'inquinamento da amianto".

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