Liguri e piemontesi nel Meridione d'Italia

Un nuovo excursus di Patria Montisferrati su un fenomeno storico poco conosciuto

CASALE

Oggi abbiamo molto presente il fenomeno dell’immigrazione di meridionali nelle regioni del Nord Italia e, in particolare, in Piemonte. Gli storici subalpini non ignorano il fenomeno contrario dell’immigrazione relativamente massiccia di cosiddetti «lombardi» nel Meridione continentale e in Sicilia durante gli ultimi secoli del medioevo, né l’ignorano gli storici siciliani, ma si può dire che nessuno reputi utile attardarsi più di tanto su questo capitolo, sostanzialmente sconosciuto – invece – al grande pubblico. Forse il tema è avvertito come più scabroso che glorioso, da ambedue le parti del mar Tirreno. Come vendere ai piemontesi il fatto che una quota tutt’altro che trascurabile dei «terroni» dell’Isola trinacria in odore di mafia è d’origini liguri-ponentine, langhette e monferrine o come convincere, per altro verso, i siciliani che discendono non esclusivamente da greci, arabi o normanni, ma in buona misura da piemontesi, «falsi e cortesi»?

Difficile dire con precisione quando i primi contingenti di liguri e piemontesi siano affluiti nel Meridione. Comunque il fenomeno si ricollega alle campagne di conquista normanne e, in modo particolare, a quella della Sicilia di cui è stato protagonista principale Ruggero I d’Altavilla. Ricordiamo che, attuatasi in un arco temporale di ben trent’anni dal 1061 al 1091, questa conquista è stata sostanzialmente vissuta da tutto il mondo «latino» sotto specie di ri-conquista sugli arabi, liberazione – cioè – dal giogo musulmano, d’interesse diretto o indiretto per tutti  i cristiani come tali. Non si è certo trattato di un’amena passeggiata.

Le forze normanne erano scarse d’effettivi in Italia, né bastavano a completarle i drappelli di longobardi e greci arruolati di rincalzo in Campania e Calabria. Il conte Ruggero se l’era vista molto brutta quando, nel gelido inverno 1062-1063, si era venuto a trovare assediato senza scorte alimentari né speranze di rinforzi a Troina assieme alla prima consorte, Giuditta di Évreux. Dopo la riscossa di Cerami dello stesso 1063 che stava comunque a dimostrare la valentia e determinazione dei cavalieri venuti dal nord, egli aveva inviato doni a papa Alessandro II, il quale, di rimando, rivolgeva alla cristianità un vibrante appello affinché si rafforzassero le file dei «liberatori latini» in aspra lotta contro gli infedeli. Era come la chiamata a una prima crociata.

La flotta pisana ha appoggiato in più occasioni i normanni. In particolare è stata fondamentale per la presa normanna di Palermo nel 1072. Già nel 1071 erano state espugnate Bari e Catania, la prima grazie a un blocco marittimo, la seconda in virtù di uno sbarco a sorpresa. La mancanza di naviglio e gente di mare era stata di grave impedimento per gli Altavilla durante gli anni precedenti e il primo assedio di Palermo, nel 1064, era fallito a causa dei rifornimenti in uomini, armi e viveri che gli arabi avevano costantemente ricevuto dal mare.

Uno dei più validi alleati dei normanni è stato, a quanto asserisce Amato di Montecassino nella sua Storia dei Normanni di pochissimo posteriore agli eventi, il marchese Bonifacio del Vasto: «Lo marchiz Boniface, lo quel est le plus grant de Ytalie de ricchesce et o [= ha] plus chevaliers, fist amistié caritative et fermat unité avec euz [= con loro: i normanni]».
Gli arrivi di «lombardi» nel Meridione non sono direttamente documentati, ma la partecipazione di nord italiani ai fatti d’arme del dopo appello di papa Alessandro II è assai più che probabile. Michele Amari ha reputato aleramico un «Othonus» di cui il cronista Goffredo Malaterra ha segnalato che comandava una delle quattro compagnie inviate ad espugnare Taormina nel 1079. Alcuni autori del Novecento hanno creduto di poter identificare questo personaggio con il misterioso «Odone Bono Marchione» che compare quale teste in un atto del 1095. L’anno precedente il granconte Ruggero I d’Altavilla donava metà del castello di Naso a un Goffredo de Garres (Garessio) da cui sono discesi i Garresi documentati nell’Isola fin entro il Trecento.

La più flagrante dimostrazione indiretta del coinvolgimento degli Aleramici è comunque data dal triplice matrimonio del 1089, presumibilmente a Mileto di Calabria, tra, da un lato, Adelaide di Savona e due sue sorelle, nipoti del marchese subalpino, d’altro lato il granconte Ruggero I d’Altavilla e i suoi figli Giordano e Goffredo, nati dai precedenti matrimoni. È un patto d’unione famigliare plurimo che non si comprenderebbe, soprattutto tra partner territorialmente ben distanti, se non siglasse una stretta e vitale collaborazione pregressa.

Nel 1104 compare altresì in Sicilia il fratello di Adelaide, Enrico, che nel 1114 è poi qualificato come conte di Paternò. In un atto di concessione del 1115 egli è invece detto conte di Policastro, in Campania, e due piemontesi lo affiancano in qualità di testi: Gualtierus de Garexio (Garessio) e Henricus de Bubio (Bubbio). Un documento più tardivo, del 1136, ci apprende che l’aleramico, a sua volta, si era coniugato con una figlia naturale del granconte di Sicilia, Flandina o Flandrina.

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Manfredi Lanza
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