Ieri pomeriggio l'avvocato Chiara Reposo è intervenuta in qualità di relatrice all'Università della Terza Età di Casale Monferrato, a parlare di “Mancato rispetto del diritto di visita al figlio e della corresponsione dell'assegno di mantenimento: profili penali”.
L’art. 3 della Legge 54/2006 (la famosa Legge sull’affido condiviso) prevede che “In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’articolo 12 -sexies della legge 1º dicembre 1970, n.898” che, a sua volta, prevede che: ”Al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'art. 570 del codice penale”.
Il reato in questione è stato “molto finemente” articolato sotto il profilo giurisprudenziale, più di quanto non sembri essere possibile ad una prima superficiale lettura.
Rispetto al disposto dell’art. 570 c.p., non è prevista una verifica della sussistenza della condizione dello “stato di bisogno”1 dell’avente diritto all’assegno di mantenimento, bastando, infatti, che non sia pagato l’assegno di mantenimento stesso, come si evince dalla giurisprudenza costante del Supremo Collegio secondo cui “In caso di violazione degli obblighi di natura economica, integra violazione dell’art. 3 della L. n.54/2006, l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento in favore dei figli”. (Cass. Sez. VI Penale Sent. n. 36263/2011)
La differenza, invero, tra le due situazioni di omissione non è di poco momento se si considera che non ogni mancato pagamento costituisce un reato penale, dovendo piuttosto il giudice accertare che l’inadempimento del coniuge all’obbligo di versare l’assegno di mantenimento abbia determinato nell’avente diritto un reale stato di bisogno, venendo a mancare per effetto di tale inadempimento i necessari mezzi di sussistenza. Viceversa, con l’art. 12sexies della L. 898/1970 viene sanzionata sic et simpliciter la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice, senza che sia necessario verificare se ciò abbia comportato il venir meno dei mezzi di sussistenza. E tale automatica tutela vale sia per i figli di genitori separati che per i figli di genitori divorziati, nonché per i figli delle coppie di fatto, in virtù della estensione ad opera della 54/2006 (art. 4) dell’applicabilità delle relative statuizioni anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.
Il figlio viene tutelato in quanto tale, facendo emergere, cioè, per la prima volta, una sorta di diritto costituzionale al riconoscimento e alla correlativa difesa dell’essere “figlio”, a prescindere dalle condizioni di nascita, dentro o fuori dall’istituto matrimoniale.2
Il reato introdotto dalla legge n. 54/2006, orientato alla tutela della prole, è sempre procedibile d’ufficio, laddove quello previsto dall’art. 570 c.p. – articolato in diverse fattispecie - è procedibile d’ufficio solo se commesso in danno di minori; negli altri casi è invece necessaria la querela della persona offesa.
La Corte di Cassazione ha precisato, in numerosi arresti, come vada accertata l’esistenza dell’elemento psicologico del fatto che, nel caso specifico, corrisponde non alla volontà di sottrarre i propri beni alla responsabilità, ma, come per tutte le violazioni degli obblighi di assistenza familiare, è il dolo generico “il quale è integrato dalla mera consapevolezza di sottrarsi all'adempimento dell'obbligo di mantenimento”.
Invero, “l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio minore sussiste anche quando vi provveda la madre in tutto o in parte con i proventi del proprio lavoro o/e con l’intervento contributivo di altri congiunti e non, proprio a cagione del mancato contributo posto a carico del padre in sede civile”. La Suprema Corte ha, inoltre, ritenuto di puntualizzare che, “ai fini della corretta configurabilità del reato in questione, lo stato di bisogno del figlio minore, proprio per l’intuibile posizione di soggetto particolarmente esposto a necessità cogenti di natura materiale e morale per il suo necessario sviluppo psico-fisico, non può ritenersi superato dal contributo di terzi non coobbligati, da soli o in unione con soggetti coobbligati, rispetto a cui il “partner” si sottragga agli obblighi impostigli ex lege per la sua qualità parentale, omettendo di assicurare i mezzi di sussistenza; intesi come necessario coacervo di elementi necessari alle esigenze di un “minimum”, vitale per il soggetto minore in termini di ragionevole decoro e funzionalità”. (Cass. Pen. Sent. n. 6894/2003)
La valutazione circa la mancanza dei mezzi di sussistenza deve essere dunque rigorosa, ma compiuta caso per caso, concretamente, e deve comprendere tanto l'accertamento circa un effettivo stato di bisogno quanto quello concernente la reale capacità economica dell'agente di fornire i mezzi di sussistenza.
Quanto a quest'ultimo aspetto, è pacifico in giurisprudenza che “la semplice indicazione dello stato di disoccupazione dell'obbligato non sia sufficiente a far venire meno l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza”(Trib. di Firenze., II, 18 gennaio 2008, n. 4008),così come non basta l'allegazione della prestazione di una qualche attività di lavoro da parte del coniuge avente diritto alla prestazione per il figlio ad esonerare il coniuge da responsabilità penale: invero, "ai fini dell'esclusione del delitto, anche la giurisprudenza di merito, esige un impegno rigoroso da parte di chi sia obbligato a prestare i mezzi di sussistenza non avendo ritenuto che lo stato di bisogno dell'alimentando sia escluso da mediocri, saltuari ed incerti guadagni che l'avente diritto è costretto a procurarsi per sopperire alle omissioni dell'imputato capace di provvedervi”. (Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 346915/2007)
La Legge sull'Affidamento Condiviso ha, finalmente, colmato la lacuna, richiamando espressamente, all’art. 3, l’applicazione dell’art. 12 – sexies L.898/1970 – e, dunque, quo ad poenam, l’art. 570 c.p. - in tutti i casi in cui risulti una violazione degli obblighi economici gravanti sui genitori.: con ciò il Legislatore ha finalmente approntato una tutela piena, e dunque disancorata da un eventuale "stato di bisogno", al diritto dei figli a che i genitori provvedano al loro mantenimento, laddove infatti esso si sostanzia nella erogazione ad essi dei mezzi economici necessari a far raggiungere loro il grado di cultura personale e professionale e, conseguentemente, una autonomia economica, ed include anche le spese necessarie per condurre una vita di relazione, secondo lo standard dell'ambiente sociale nel quale la famiglia vive.
L'obbligo implica, dunque, il soddisfacimento diretto delle esigenze della prole, ed, anche l'accollo delle spese effettuate da terzi per i bisogni dei figli: è più ampio di quello alimentare propriamente detto e prescinde da qualunque altro presupposto ed, in particolare, dello stato di bisogno del figlio.
Quanto ai parametri cui ricondurre i contenuti dell'obbligo di mantenimento, essi, com'è noto, sono rappresentati, per espressa previsione di legge, da: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. In questo nuovo assetto, al Giudice Civile non rimane che il compito, meramente sussidiario, di stabilire, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico.
La nuova fattispecie, dunque, limitatamente alla tutela penale del diritto al mantenimento dei figli, riduce l'ambito di concreta operatività dell'art. 570, comma 2 n. 2, c.p., in quanto, introducendo un’ipotesi di reato omissivo puro di natura permanente, rende ben più agevole l'accertamento probatorio ed efficace la previsione penale.
Essa costituisce diretta applicazione, dal punto di vista del diritto penale, che deve costituire sempre, ad avviso della scrivente, in materie così delicate, la extrema ratio, dell'art. 709 ter c.p.c., norma con la quale “il legislatore ha inteso non soltanto disciplinare le controversie che possono insorgere fra i genitori quando i provvedimenti in vigore in materia di esercizio della potestà genitoriale o di modalità dell'affidamento dei figli minori debbano ricevere concreta attuazione, ma ha, anche voluto introdurre un sistema sanzionatorio per contrastare l'inadempimento dei provvedimenti giudiziali aventi ad oggetto l'esercizio della potestà o le modalità dell’affidamento dei minori, ipotesi comprensive anche delle statuizioni di natura patrimoniale”.
Punto controverso su cui si è espressa, la VI Sezione Penale della Corte di Cassazione, a distanza di pochi giorni, in modo diametralmente opposto, è se l’ipotesi di cui all’art. 3 L. 54/2006 e quella di cui all’art. 570, comma 2°, n. 2, c.p., possano concorrere fra loro ovvero debba trovare applicazione il principio di specialità e assorbimento e in quali termini.
Secondo un primo orientamento, la violazione della Legge n. 898 del 1970, articolo 12 sexies, in virtù dell’estensione operata dalla Legge n. 54 del 2006, articolo 3, si riferisce alla posizione dei figli, indipendentemente dall’età’ o dalla prova del loro stato di bisogno, quanto al mancato adempimento o parziale adempimento dell’assegno di mantenimento statuito in sede covile con provvedimento presidenziale, fermo restando che a tale violazione si accompagna anche quella di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, “ove tale omissione comporti anche il pregiudizio dei mezzi di sussistenza verso figli minori di età”, mentre verso il coniuge opera utilmente la tutela dell’articolo 570 c.p., comma 1.6
Per contro, un secondo indirizzo ermeneutico afferma che mentre può essere realizzata la violazione dall’art. 12-sexies della legge n. 898/1970 o dell’art. 3 della legge n. 54/2006, n. 54 senza che siano fatti mancare i mezzi di sussistenza alle parti offese indicate nell’art. 570, comma secondo n. 2, c.p., “il genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l’assegno di mantenimento, commette un unico reato, quello previsto dall’art. 570, comma secondo n. 2, c.p.”: pertanto, argomenta la Corte, “La violazione meno grave (l’omissione di versamento dell’assegno di mantenimento) per il principio di assorbimento, volto ad evitare il bis in idem sostanziale, perde, infatti, la sua autonomia e viene ricompresa nella accertata sussistenza della più grave violazione della norma prevalente per severità di trattamento sanzionatorio (aver fatto mancare i mezzi di sussistenza nei confronti del beneficiario dell’assegno di mantenimento)”.